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Calcio e pugni: la dura vita degli arbitri italiani

A convivere con la paura forse ci si abitua. Chiedere agli arbitri. La capacità arbitridi autocontrollo deve essere una loro prerogativa, oltre a una buona dose di sano masochismo. Altrimenti meglio cambiare mestiere. Soli, muniti esclusivamente di fischietto e coraggio, ogni domenica centinaia di arbitri, spediti in isolati campi di provincia, si ritrovano a dirimere le rimostranze di giocatori offuscati dalla trans agonistica, a placare dirigenti e allenatori poco propensi al dialogo, a fare i conti con un pubblico non educato alle virtù sportive. E spesso questo clima di tensione sfocia in vere e proprie aggressioni fisiche. Un fenomeno vecchio come il calcio.

L’Aia (Associazione italiana arbitri) organizza corsi che assicurano ai direttori di gara una buona preparazione fisica e teorica e li educano a comportamenti al tempo austeri e decisionisti. Ma nessuno insegna loro a controllare la paura. Secondo un’analisi condotta nel 2007 dai 19 comitati regionali, nel solo quinquennio dal 2002 al 2006 si sono verificati 2088 casi di violenza sugli arbitri. Minacce verbali escluse. Si tratta di aggressioni con conseguenze fisiche valutabili in almeno cinque giorni di prognosi: 620 nel 2002/03; 515 l’anno successivo; 393 nel 2004/05; 449 nel 2005/06. Violenze imputabili per il 90% a tesserati (65% calciatori e 25% dirigenti) e per il restante 10% al pubblico. Le regioni più a rischio? Calabria, Campania, Lombardia, Lazio e Sicilia.

Queste cifre nel febbraio 2007 spinsero l’allora presidente dell’Aia, Cesare Gussoni, a istituire un Osservatorio per il monitoraggio della violenza consumata ai danni degli arbitri. L’Osservatorio, mantenuto dall’attuale presidente Marcello Nicchi, ogni mese stila un elenco delle violenze perpetrate, le regioni in cui sono avvenute, chi le ha commesse e in quali campionati. L’intento, disse all’epoca Gussoni, «è quello di tenere informata l’opinione pubblica sugli atti di violenza subiti da molti giovani arbitri, da cui deriva il grave disagio di tutta la categoria arbitrale». Ma quando Labiulm ha chiesto di consultare i dati, dal quartier generale si sono levati gli scudi. Francesco Meloni, segretario Aia, prova a spiegare: «Il presidente è contrario alla diffusione di questi dati». Una politica controversa che di certo non aiuta a capire la complessità del problema. Trovando un varco fra le maglie silenziose della federazione, Labiulm è riuscito comunque a consultare i tabulati. Nel 2007 i casi accertati di aggressione sono stati 358, una cifra cresciuta nel 2008, con 399 episodi. Nei primi mesi del 2009 (da gennaio a marzo) le violenze sono già state 82. Campania, Puglia e Lazio si confermano regioni ad alta intensità (rispettivamente con 116, 135 e 76 episodi in tre anni), con la new entry Toscana in preoccupante crescita (92).   

Il fenomeno è dunque endemico e le misure preventive per contrastarlo non stanno dando i risultati auspicati. Forse perché considerare l’arbitro un venduto meritevole di violenze verbali e fisiche, è ormai un fatto culturale. L’arbitro va sbeffeggiato, fischiato, ingiuriato, sempre. In alcuni casi, è lecito anche picchiarlo. Atteggiamenti che spesso sono legati all’immagine che il calcio dà di sé a livello nazionale. Varie analisi di settore, infatti, dimostrano che la violenza nei campi di gioco periferici aumenta significativamente all’indomani di episodi deprecabili avvenuti nella massime categorie.

Tuttavia, gli arbitri di serie A e degli altri campionati professionistici minori hanno ormai superato il guado. Qui, la possibilità di ricevere bastonate per un rigore assegnato o una espulsione comminata è piuttosto remota. Nei campionati dilettantistici, invece, finire all’ospedale per le intemperanze di giocatori, dirigenti e pubblico non è poi un’ipotesi tanto peregrina. Anche perché le forze dell’ordine non di rado disertano le partite, lasciando l’arbitro solo e senza tutele. Non mancano quei direttori di gara che, in occasioni di gare a rischio, si rifiutano di dare il fischio d’inizio. Ma questo può rivelarsi un clamoroso autogol. S.D., arbitro di promozione della sezione provinciale di Reggio Calabria, spiega: «Un atteggiamento del genere rischia di esacerbare gli animi in partenza. Così spesso decidiamo di iniziare lo stesso la gara anche senza forze dell’ordine». Quanto valgono questi rischi? «Settanta, al massimo ottanta euro a gara. Spese escluse». 

Pietro Bellantoni