Viaggio fra i finti duri delle due ruote

L’appuntamento è sempre allo stesso posto, al centro commerciale Le Gru. Quando arrivano, il frastuono delle marmitte, le borchie e gli sguardi truci di rito provocano sempre un misto di vitalità e inquietudine fra le tranquille famigliole venute a fare la spesa. Sono gli easy rider torinesi e questo è il loro punto di raccolta. Stivali d’ordinanza e jeans, sempre. Mettono le moto una accanto all’altra e le lasciano lì, a farle scrutare dalla curiosità divertita dei passanti. Alcuni le passano accuratamente in rassegna, come a una fiera: una diversa dall’altra, modificate in base ai gusti e allo stile di ogni centauro. Ovviamente, la simbologia classica fatta di teschi, croci celtiche e feticci sessuali deve essere presente in ogni custom che si rispetti. L’osanna “viva la gnocca”, poi, è appiccicato su quasi tutte le targhe. «Un tempo eravamo una cinquantina, davvero tanti – dice Giorgio, capelli lunghi raccolti in una coda e tatuaggi sugli avambracci -. Oggi la vecchia compagnia si è frammentata in altri piccoli sottogruppi. Ma tutti continuiamo ad andare in moto». Cavalca una Harley Davidson Nightrain color canna di fucile, sterzo larghissimo e marmitte assordanti. Di lavoro fa il panettiere, in corso Massimo D’Azeglio, e quando può accende il motore e salta in sella.

Il contesto dove si muovono questi epigoni della cultura on the road non sono le sterminate e desertiche highway americane, ma gli austeri e razionali corsi dell’antica capitale sabauda. Al loro passaggio, annunciato già a un chilometro dai rombi arroganti, la gente si volta, sorride, si dà di gomito. Anche la tradizionale diffidenza dei torinesi si scioglie di fronte agli harleysti di casa, che vengono salutati con naturalezza per lo più con la gestualità universale del pollice in alto. Loro rispondono sempre, pigiando i clacson dai quali fuoriescono i suoni più bizzarri e divertenti. «La gente si diverte quando ci vede. Portiamo buonumore. Una volta dei vigili hanno fermato due di noi, volevano multarli. Moltissima gente si è messa a sbraitargli contro dicendogli di lasciarli stare. Alla fine, niente multa».

Le tappe obbligate dell’itinerario cittadino sono quasi sempre la Gran Madre, la collina di Superga, il colle della Maddalena. Non mancano anche le puntate fuori porta, soprattutto nei weekend: al lago di Avigliana o a quello di Viverone, ma anche oltre confine, in Francia, a Saint Tropez e Menthon. Quando rimangono in città fanno cose normalissime, caffè o aperitivo, con un occhio sempre alla loro harley. Chiacchierano. L’argomento? Moto e sempre moto.

Chiunque può unirsi a loro, dato che non fanno capo a nessun gruppo, a nessuna sigla di bikers. Tempo fa a Torino c’erano i Brotherhood, adesso pare si siano sciolti. Alcuni hanno allora deciso di unirsi alla versione italiana degli Hells Angels, la banda americana di motociclisti-teppisti spesso salita agli onori della cronaca negli anni cinquanta e sessanta. «Noi non siamo mai stati in un gruppo. Farne parte è come stare nell’esercito, con delle gerarchie e dei doveri. Preferiamo salire in moto quando siamo liberi e compatibilmente con i nostri impegni» dice Enzo, tolto il casco, un artigiano. Difatti l’aria da duri è solo una maschera: non si drogano e bevono il giusto. Tantomeno si dedicano alla criminalità. La moto è per loro un hobby come un altro e non uno stile di vita. Hanno quasi tutti famiglia, e l’harley è il loro modo di passare il tempo libero. Soprattutto d’estate, con il bel tempo, quando scorrazzano lungo i viali torinesi scuotendo con le loro marmitte una città intorpidita dalla calura e svuotata dalle ferie.

Pietro Bellantoni

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